mercoledì 6 gennaio 2010

Coccia - Timidezze

Era una di quelle giornate di primavera senza una direzione, o forse con una direzione già tracciata e non del tutto cosciente. E, pertanto, pesante. Camminavano senza troppa convinzione verso strade che infinite volte avevano percorso, insieme o con altri. I passi erano tracciati con una meta precisa, ma non c’era né la voglia di raggiungerla, né la sensazione di percorrere, loro due, la strada, quella strada. Non c’era un discorso, non c’era una naturalezza che permettesse che un discorso si generasse, non c’era un essere assieme. C’erano i cellulari, nuovi orologi da taschino; c’erano i treni, che i cellulari ricordavano e rendevano reali. A discapito della realtà di tutto il resto, che completamente trascolorava.

Alcuni amici, con loro, li seguivano, ma nessuno aveva reale soddisfazione di fare quello che stava facendo. Non c’era pienezza in alcuno. Non era noia quella che stava serpeggiando, ma qualcosa di più paradossalmente empatico: era una forza centrifuga, che faceva sì che, essendo in sei compresenti, in verità ognuno fosse solo. Solo, sì, già diretto al suo treno, alla sua lezione, al suo attendere qualcosa che potesse schiudersi ma non ora, perché ora ognuno era assente, e, contagiato, lui non riusciva a infondere quella presenza che desiderava, e che sentiva divergere intorno a sé. Era un circolo vizioso: avrebbe avuto bisogno di entusiasmo, si sentiva pronto ad accoglierlo, già lo covava, ci voleva solo un piccolo moto nella sua direzione, un’intenzionalità rivolta, uno sguardo, un gesto, un cenno d’intesa. O forse no. Forse sarebbe emerso solo un frammento, un coccio di vita, che non sarebbe riuscito a trattenere, a tessere, ad impastare, a nutrirlo in modo tale da sentirne la fibra, la fibra che cresce e si tesse con infinite altre fibre che lo costituivano, una dopo l’altra dacchè egli esisteva: esperienze, vita.

Ma non riusciva a innescare il farsi presenza di quell’Occasione in cui si trovava. I quattro amici lo salutavano, andavano ognuno a realizzare quanto già, non in atto, ma comunque nella direzione delle loro energie, stavano già facendo.

Era solo con lei.

La situazione non migliorava. Silenzioso, si sentiva impacciato. Responsabile si sentiva, forse come chi può interpretare il semplice, semplicistico ‘ti voglio bene’ in un ‘voglio sempre e solo il meglio per te’. E così era, voleva sempre e solo il meglio per lei, e non si perdonava, se non aveva quella presenza a se stesso, luce, energia, ovvero, se non aveva alcunchè da donare.

Donare, come sovrabbondanza di forza, di pienezza, era questa una possibilità che gli era propria, e che sentiva come specifica e desiderabile, la più desiderabile, forse, simbolo di momenti di presenza e di assoluta limpidezza, dove aveva capito che non era solo un aforisma ardito quello che sanciva come bellezza e verità fossero chiamate a coincidere. In quei momenti, con lei, lui era sommamente vero: era totalmente sincero, riusciva ad ascoltarsi compiutamente, e si percepiva in ogni suo gesto. Di conseguenza, in una perfetta osmosi interno – esterno, una armonia, che altrimenti difficilmente gli era concessa, si impadroniva di lui: era bellezza.

Ma non c’erano concessioni, doni, non c’erano quelle forze che non si cercano, ma da cui si è cercati; non c’era quel qualcosa capace di prendere dimora entro sé che chiamavano ispirazione. Le parole venivano in mente stiracchiate, e molto, insolitamente, taceva. Quando apriva la bocca, era la goffaggine. Iniziò a tirar fuori cose che avrebbe fatto meglio a tacere, o, il che era più grave ancora, a manifestare in altro momento. Quello non era quello giusto. Quasi gli rimbombava la sua voce, mentre la modulava. Ben presto se ne accorse, ed era degenerativo. Inizialmente maneggiava immagini molto belle, ma non aveva le parole giuste, né la gioia nel comunicarle. Buttate via. Se l’era bruciate. Accortosene, quasi impercettibilmente iniziò a portare ed emersione brandelli di confuse malinconie. Parlava con tristezza, senza saperne apertamente perché.

Intanto si erano seduti, ed il cielo, svogliato e incostante che era, iniziò a tuonare. Caddero piccole, grosse, gocce. Si spostarono, con una tettoia sopra le loro teste, ma sempre all’aperto. Stava piovendo, piovendo con inaudita violenza. Il mare, davanti a loro, era trafitto da una gragnuola di spilli sottilissimi. Le infiltrazioni ai piedi della tettoia di lamiera, che originavano melmose pozzanghere, erano sciacquate violentemente.

Lui le raccontava un film, un film dove loro per certi versi loro due avevano vissuto. Era un film che i critici avrebbero chiamato romantico, ma lui lo trovava semplicemente umano. Incontri, incontri mancati, occasioni, occasioni perdute. Cancellamenti e reincontri. Diceva alcune cose, ma in verità voleva dirne altre… non era allusività, sebbene tutto il loro rapporto sarebbe potuto essere stato letto in questi termini. Non riusciva a guardarla mentre raccontava, nemmeno a tenerle un braccio intorno al collo, o a sfiorarle una mano. Figuriamoci, a baciarla.

Mentre lei sentiva le stesse identiche cose.

Era timidezza. Erano timidezze.


(20 aprile 2009)

7 commenti:

  1. La Vale:

    Quante volte mi capita di vivere quell’emozione di timidezza ..
    troppe troppe...
    …quando le parole mi si fermassero come tanti piccoli pezzi di vetro in gola… e cerco comunque di risultare brillant e simpatica.......
    ma appena apro bocca con voce tremante e snaturale sembro quasi una papera..e riesco a dire tutto ciò che non ha senso in quel momento...così piena di imbarazzo e goffagine e rossore poco evidente in volto mi chiudo nel silenzio .... quel silenzio che proprio non riesci a mandare giù :)

    La Vale

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  2. In questo momento il mio romanticismo è sotto i piedi, però voglio cmq contribuire al dialogo se riesco.
    La timidezza è un sentimento valido da preservare e tutelare? o anche se ci suscita tenerezza e affetto è esortabile al cambiamento?

    Io di timidezza ne ho persa molta per la strada, sono contentissimo perchè ha fatto largo in me una spavalderia energica... eppure a volte mi sento lontano anni luce da altre persone che sono timide e mi dispiace non capirle e non percepirle bene. La timidezza mi dava una pallida empatia che però noto diffusa su molte persone ed ora mi sento una inutile valanga che frana addosso a questa gente.

    ANDROJINN

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  3. Ci sono un sacco di forme di timidezza....

    per rispondere ad una tua domanda secondo me la timidezza è un sentimento che va preservato...in un lato di ognuno di noi c'è la timidezza...anche chi pensa di non essere timido in certe circostanza lo è sicuramente!ma è normale!ed è bello arrossire a volte senza vergogna...
    sono sentimenti di vita che sgorgano in noi... e a parer mio non bisogna trattenerli o soffocarli o mutarli o cambiare ciò che uno è...siamo ciò che siamo e i difetti che abbiamo ci rendono diversi ma anche uguali..
    spero di non esser stata troppo ingarbugliata nel rispondere..

    La Vale

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  4. Io sono stato un mix letale di timidezza e insicurezza. Credo sia come mischiare alcol e droga, il blocco è inevitabile. E a volte ritornano. Quoto la Vale per quanto riguarda il preservare la timidezza, per chi ha superato i maggiori ostacoli e la possiede in una quantità che non nuoce eccessivamente alla vita sociale e personale, in quanto secondo me aiuta a conservare modestia e umanità, che sparirebbero, in certi casi, schiacciate da una eccessiva e ingenua arroganza.

    Giocher

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  5. ..
    gulp mi sono accorta ora rileggendo i post che gli ho scritti zeppi di errori...

    cmq grazie Giocher! meno male che qualcuno ancora ci pensa a preservare un pò di timidezza !!!
    :)


    La Vale

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  6. Questa del racconto non è la solida timidezza, non è quella che la persona timida manifesta in ogni situazione. Questa è la timidezza che tutti scoprono di avere in una situazione particolare! Ed è una situazione particolarissima, non capita spesso ed è una che tutti conoscono.

    (mi stanno venendo gli occhioni da manga!)

    Sai, tipo quando hemmm
    cioè tu... no??
    a me sembra che....
    che sia
    come quella volta che, cioè, hai presente no?
    Che imbarazzo!
    Si nota?
    No perché sai, tu mi hai conosciuto in un modo, per nulla timida, sempre allegra e contenta, sempre qualcosa da dire... ora usciamo insieme, stiamo così vicini, mi prendi la mano e non so più cosa fare!

    Belin che figata! Emozioni fortissime.

    Mati

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  7. Sì cara Mati, anche quella timidezza l'ho incrociata tante volte! Alcune mi si è ritorta contro, altre no...a seconda che l'interlocutore la vedesse come una fastidiosa nenia o come un impacciato ma pur sempre sincero modo di esprimersi :)

    Giocher

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