martedì 26 ottobre 2010

The Mallard • Inno alla Divina Madre


La Madre Divina è ovunque.

Ella è Tutto.

È la Divina Essenza che vive in tutte le creature.

Suo dominio è il giardino della vita, nel quale ogni essere attinge da Lei la sostanza necessaria alla propria esistenza.

La sua bellezza vive nella natura e da Ella si espandono gli universi, in tutto il loro splendore.

È stata chiamata con molti nomi, ma tutte le tradizioni l’hanno sempre riconosciuta.

Ogni coscienza viene riempita dalla sacralità della vita. La Madre Divina stessa è questa sacralità.

Ella è la santa creatrice del mondo, connessa al cuore ed all’anima di ogni vivente.

La Terra è tutt’uno con Lei.

Tutte le creature del mondo devono a Lei la loro esistenza, perché Ella è la madre di tutti, colei che concede a tutti i doni della vita.

I suoi doni arrivano ugualmente a chi merita ed a chi non merita, similmente a come il Sole non sceglie chi illuminare.

Lei è la fonte della benedizione divina, la parte del Tutto che riempie di grazia la vita.

Non siamo stati capaci di vederla, perché Ella è avvolta in un manto si silenzio.

Lei emerge ora come una parte del Tutto in cui ha sempre abitato, benedicendo tutti, donando a tutti.

Tutti coloro che si inchinano a Lei sono sostenuti dalla vita che li permea.

Tutti coloro che la onorano vengono sostenuti dai doni della vita, sia dentro se stessi che al di fuori.

Lo scopo dell’esistenza è di connettersi con la Vita che permea tutte le dimensioni e tutti i regni dell’Essere.

È la Madre che crea questa evoluzione, questo viaggio di rivelazione; da Lei proviene lo stesso tessuto del Tempo, la ragione per la quale tutte le cose divengono.

Ella è il modello della vita che esiste presso di Lei, la sostanza e la forma di tutto quello che verrà al mondo.

Possano tutti ricevere la benedizione della Divina Unità.



Poesia di Julie Redstone, liberamente ispirata dal mantra “Devi Prayer”
Traduzione by…

…The Mallard

giovedì 14 ottobre 2010

Paul: Sacrifice



La tempesta continua a imperversare su di me, e seppur a brevi scatti,
mi ritiro come un viscido insetto verso la fredda caverna oscura.

Nelle tenebre più totali intravedo bagliori illusori...
vedo mani...piedi...occhi vitrei mi fissano.

un piccolo tonfo si ripete rompendo il silenzio nero...
...un piccolo lamento...
un bambino piange sussurrando preghiere al buio...

Dalle crepe della grotta un flebile raggio di luce illumina una lacrima...

Oh Dio proteggimi...dammi la forza di guardare...

Il freddo gelido risveglia i miei sensi...solo, nudo...
...i miei occhi sono chiusi, al posto di essi non c'è più nulla...
solo vuote cavità...
le mie labbra sono cucite con ago e filo...
...le mie mani sono legate tra loro con ferro e catene...
chi mi chiuse qua ora non rammenta più
la causa di questo lago di sangue in cui dormo...
Solo le ceneri di una canzone aleggiano attorno a questo inferno

Il mio capo venne seppellito tra le polveri di migliaia di candele spente...
fermo e immobile, lascio che la mia mente vaghi per queste lande deserte,
gridando sempre e soltanto selvaggiamente
in cerca di un abbraccio in cui piangere.

E ora, ora che le mie membra altro non sono che una speranza,
sacrificherò ogni mia parte per un animo nobile.

Le mie gambe diverranno la voglia di correre, di scappare, per chi,
come me prima di lui, non ne ha avuto mai il coraggio.

Le mie braccia diverranno la forza di resistere all'oppressione,
sosterranno il peso dell'ingenuità e della sincerità, per chi,
come me, sta finendo schiacciato sotto quest'immensa mole.

Il mio respiro diverrà la voglia di volare,
di soffiare con tutte le proprie forze per dare vita a una tormenta
che spazzi via ogni maligno pensiero, per chi,
come me, e rimasto soffocato da questo alito fetido.

I miei occhi diverranno la forza di guardare,
di tenere alto il capo di fronte alla più orribile delle ingiustizie,
diverranno uno sguardo impenetrabile per chi,
come me, ha distolto troppe volte la vista.

...e le mie lacrime...diventeranno speranza,
come in un giorno di pioggia.
Una per volta, piccole e silenziose,
Cadranno su questa Terra infame,
che altro non è se non l'inferno che si è aperto di fronte a voi.

Li vedete i cancelli?

Diventeranno la speranza di essere liberi,
di poter parlare senza ago e filo,
di poter guardare con occhi al posto di queste cavità,
di poter correre, scappare,
di potersi muovere con libertà senza alcuna catena che ci vincoli.
Per essere ciò che siamo nati.

Chi ci chiuse qua ora non rammenta più,
Chi ci chiuse qua ora è davanti allo specchio in cui guardi,
Ora altro non è che noi stessi.

Paul


venerdì 8 ottobre 2010

The Mallard • Strategia Monocromatica

Nei casi in cui fosse necessario prendere delle decisioni, prendersi in carico delle azioni, studiare la soluzione migliore (tra quelle che si hanno a disposizione ad oggi) e soprattutto nel momento in cui bisognasse addurre motivazioni o giustificarsi per qualcosa, spesso mi è capitato di essermi imbattuto nel dover descrivere o dimostrare un effetto come sintesi di una sola causa. Sebbene è pacifico pensare che le relazioni causa-effetto non stiano mai né dalla parte di un determinismo “evidence-based”, tipico della speculazione occidentale, ma sebbene anche non ci si possa opporre mai completamente all’indimostrabilità di alcuni tipi di olismo, l’attribuire ad una sola causa uno o più effetti, a mio avviso, è fondamentalmente sbagliata.

Le ragioni possono essere molteplici, a partire dalla mancanza di conoscenza di tutti gli elementi costituenti un sistema: se vogliamo usare il determinismo, questi elementi vanno conosciuti e di solito se ne analizza l’effetto in modo giusto e sensato, ma si incappa in errore soprattutto quando si effettuano i passi successivi, ovvero l’analisi dell’interazione e la successiva integrazione delle cause (che formano altre cause più complesse da modellare e delle quali capire la dinamica) e la semplificazione degli effetti di minor conto.

Perché e con che autorità decido di cancellare, di non considerare, di “semplificare” una quantità di fattori, di variabili che ho sancito come “meno influenti”?

Non occorre qui esplicitare la serie di McLaurin Taylor (che matematicamente permette di esprimere la relazione ed il peso tra molteplici variabili-causa e la funzione-effetto) e neanche il “butterfly effect” (che dimostra che cause di livello ennesimo, che ipoteticamente, nei sistemi lineari, sarebbe ragionevole pensare di trascurare o semplificare, troppo spesso danno effetti inaspettatamente ingenti) per renderci conto che in realtà spesso si sia portati a trattare i sistemi NON lineari (praticamente tutta la natura) come lineari, applicando questa teoria COME SE avessimo sempre la presunzione di poter circoscrivere ad una sola causa (o a poche) gli accadimenti.

Motivazioni:

• Scienza: usa questo metodo perché praticamente solo i sistemi lineari hanno soluzioni risolvibili con metodi che i matematici chiamano “banali” (anche se spesso tanto banali non sono), con metodi sintetizzabili insomma in una o più formule che siano facilmente risolvibili e “maneggiabili” da umani o computer. Per i sistemi non lineari, raramente si arriva ad una soluzione e spesso né si conosce ad oggi la formula che ci arrivi, né si ha la presunzione di poter modellare il sistema (spesso, anzi, la matematica dimostra che non esiste metodo risolutivo analitico per alcuni tipi di equazioni). Allora si procede RICONDUCENDO i sistemi NON lineari a sistemi lineari. Facendo così, oggi, con la potenza di calcolo dei più sofisticati computer, spesso si arriva ad un’approssimazione sufficiente del fenomeno (almeno secondo sufficienti dati iniziali e senza pretendere di estendere troppo nel futuro la previsione es. previsioni meteo, che utilizzano modelli di calcolo lineari che approssimano piuttosto bene il fenomeno non lineare, ma danno risultati attendibili SOLO per una previsione di pochi giorni. Dopo, come si suol dire, “derivano”).

Insomma, la scienza dice che “non si può far altro” perché i mezzi che abbiamo a disposizione ad oggi sono questi.

• Società: si usa quasi sempre questo metodo quando non si può dire “non capisco il fenomeno” o ci si trova alle strette nel dover addurre delle motivazioni ad un evento (capitato a sé stessi o ad altri), a dover giustificare una decisione che si dovrà prendere, adducendo al fatto che un certo evento è stato generato da “quella” causa, che è stata di “quella” causa la RESPONSABILITÀ dell’accaduto, perché (si dice) “la legge (e quindi l’uomo) vuole sempre UN responsabile”. Sembra che non ci si possa intrattenere per troppo tempo nell’investigare sulle possibili molteplici cause, che magari giustificherebbero più lo scagionamento che la condanna di un evento o di un uomo, ma si debba invece solo nutrire la soddisfazione della “comprensione e condanna” a tutti i costi, si DEVE capire il fenomeno, si DEVE giustificarlo e giustiziarlo.

Insomma, la società dice che le decisioni che devono essere prese per indirizzare le azioni in uno o nell’altro verso non possono tener conto di tutto e di tutti, ma che, trovato UN “capro espiatorio” (causa materiale o persona), il caso deve essere chiuso, la decisione presa. Anche se non lo si dice il motivo è, in pratica, l’“economizzare” le risorse e non dilungarsi all’infinito con la trattazione, l’impossibilità di accettare la mancanza di soluzione (e l’impossibilità di accettare quindi l’A-ssoluzione), la non accettazione dell’impossibilità della comprensione piena dell’evento.

• Filosofia: in occidente, soprattutto da Kant in poi, in effetti non si è troppo perso di vista il fatto che possano essere molteplici le cause che portino ad altrettanto molteplici effetti, e che le “variabili” considerate “indipendenti” il più delle volte non lo sono e spesso si relazionano tra loro creando cause di natura DIVERSA dalle singole che le compongono, cause che quindi dovrebbero essere trattate con una diversa logica rispetto alle cause “genitoriali”.

Ciò nonostante, la più grande bestemmia che sento spesso proferire, tale non tanto perché è errata, ma quanto perché ne viene data l’interpretazione SBAGLIATA, è quella che si potrebbe sintetizzare nella frase: “Noi ci scegliamo il nostro destino”, oppure: “Ciascuno è causa del suo male”.

L’errore non sta tanto nella frase in sé, che è stata messa in così poche parole per esigenze di esser tramandata oralmente, ma che, se opportunamente argomentata, può essere anche VERA (ma, ripeto, non può fare a meno della sua argomentazione per ragioni di tempo e spazio, rimando alla dissertazione organica tenuta tra me e Donny al di fuori del pub di Campo quest’estate).

L’errore sta invece nel fatto che, perché questa frase si autosostenga ed abbia ragion d’essere, sia necessario conoscere tutte le cause (e saperne con certezza le provenienze) e vengano attribuite TUTTE alla stessa persona.

Delirio di onnipotenza duplice!

Primo perché si ha la pretesa di onniscienza: ho la presunzione di aver la certezza di conoscere tutte le cause, nessuna esclusa.

Secondo, è come se dicessi che la persona che “si sceglie il suo destino” possa aver avuto l’onnipotenza su TUTTE queste cause, e quindi non abbia fatto altro che SCEGLIERSI il suo futuro (agendo o non agendo).

Questa è la cosa più grave e sbagliata che ci possa essere: qui non siamo nel campo della giustizia, qui non ci vuole per forza UNO E UN SOLO responsabile. Qui si sta speculando su innocenti capri espiatori. Per quanto sia polemico e spesso profondamente anti-mistico, lo stesso Nietzsche su questo tema più volte sottolinea (soprattutto nella “Gaia Scienza”) la “fondamentale innocenza di ogni azione umana”.

Insomma: l’uomo non può mai conoscere tutto, non può avere la onnipotenza su tutte le cose (anzi, spesso ne ha pochissima e gli sfuggono di mano), quindi non può mai deliberatamente “scegliersi il proprio destino”.

Per quanto bella e piena di speranza, anche l’idea della reincarnazione e della “punizione nella prossima vita delle mal-azioni fatte in quelle prima” potrebbe subir critica, se il suo pensiero si generasse unicamente, come necessità, dall’impossibilità di giustificare diversamente fatti come i “bambini carini” che muoiono di malattie terribili o patiscono sofferenze atroci.

Argomentiamo bene concetti come questo del “mi scelgo io il mio destino” PRIMA di proferirli: potremmo far del serio male a chi non ne può nulla del proprio destino e che si sentirebbe in più beffato e responsabilizzato ingiustamente.

E allora che si può fare? (frase rigettata addosso a quasi tutti i filosofi)

Purtroppo la risposta, come quasi sempre, è “Quello che si può”.

Ma vorrei fermarmi proprio su questo punto per sottolineare che “quello che si può” NON vuol dire “devo giustificare anche quello che «non posso», adducendo immaginarie cause non dimostrate per far contenta una certa teoria o un certo costume in voga oggi”.

L’importante è capire che non si DEVE sintetizzare a tutti i costi in una sola causa quando questa non la si capisce o quando è palese la molteplicità delle cause e quindi la NON provenienza da un solo responsabile.

Questo ALMENO venga fatto nel campo della filosofia, della mistica, della metafisica e della (vera) religione, dove non dovremmo esser costretti a forza di trovare una sola causa imputabile.

Ma anche negli altri campi si può far qualcosa:

Es. se la scienza può usare solo i modelli lineari, usi quelli che ha, ma abbia l’onesta (come la hanno i veri e grandi scienziati) di dire che queste metodologie solo APPROSSIMANO la realtà, non la modellano né in maniera completamente verosimile, né in maniera da indovinarne, sempre e comunque con giustezza, gli esiti.

Es. se la giustizia vuole sempre un responsabile perché non si hanno risorse per investigarli tutti e la vendetta dei parenti delle vittime vuole “giustizia” (e già da subito batte piedino ansiosa di soddisfazione, soffiando sul collo dell’esecutivo e del giudiziario), pur si proceda, ahimè, con questa logica spietata, ma non si abbia mai la presunzione di infallibilità, di esser nel “vero”, men di meno nell’ “unico” vero.

Tutto questo per dire che la “Strategia Monocromatica”, per quanto soddisfacente all’apparenza, non prescinde dalla assoluta presunzione di conoscere ed aver potere su tutto, cosa che, forse, non è neanche divina, figuriamoci se è terrena.

Per concludere vorrei rassicurare sul fatto che la necessità di sintesi e spinta decisionista, ultimo baluardo che potrebbe difendere questo modo di procedere, la possibilità di sfociare in una “Teoria del tutto”, in una filosofia “omniabbracciante”, in un poter arrivare a percepire “tutto l’Universo in un atomo ed in un istante”, tutto questo insomma, NON richiede affatto che le varie sue componenti si autoescludano, non si richiede in alcun modo di mettere per forza in conflitto annichilente le varie sue parti.

Anzi, per riuscire finalmente a sviluppare le proprie facoltà percettive al di là del sensibile, avendo l’INTUIZIONE del Tutto, spesso non si può far altro che DOVER considerare tutte le cause, tutti gli effetti, non rinnegandoli anche se fanno male, anche se non portano soddisfazione alla nostra frustrazione, al nostro desiderio di vendetta/giustizia e linearità degli eventi, al nostro desiderio di spiegarci tutto, al nostro desiderio di sicurezza.

“Bere l’amaro calice fino alla feccia” non può che esser fatto se DAVVERO si vuole uscire dal samsāra.

La cosa è difficilissima, me ne rendo conto, perché non porta ai nostri occhi che una infinita insoddisfazione, anche se apparente.

È molto dura (ne sappiamo tutti qualcosa) aver la cognizione di non poter mai conoscere tutte le cause, molto dura sapere ed accettare di non poter far nulla per la maggior parte degli effetti. Molto dura è, insomma, accettare, anche sotto questo punto di vista, la finitezza umana.

Ma diabolico è far scontare ad altri, CON DOLO, le conseguenze di questo modo di procedere. Diabolico è far ricadere su altri il peso di queste nostre constatazioni, anche se fanno male. Diabolico è che questo comportamento sia, neanche poi tanto tacitamente, approvato dalla stragrande maggioranza di maschere che popolano questo pianeta.

Lavoriamo per liberarcene.



The Mallard