giovedì 7 gennaio 2010

Coccia - Ritorno “a casa”.

Non era saltato nulla per aria. Avevo lasciato questa “casa” tedesca che con fare divertito avevo così chiamato tra virgolette (a mia madre avevo proprio scritto: tra dieci minuti sono “a casa”, confidando che cogliesse quel pacato velo di sarcasmo). Avevo lasciato il riscaldamento in stanza acceso, ma solo un po’ di polvere si era aggiunta in quei venti giorni. E un po’ di neve sulla collina di fronte. Quella però non dipendeva da me. E a pensarci bene, nemmeno la polvere.

Avevo viaggiato senza lasciarmi troppo tempo per pensare, non per fuggire da chissà quale inquietudine, ma perché l’idea che un viaggio di otto ore potesse anche fruttare la trovavo superlativa. No, non sono uno di quei manager cronomani che vivono nell’equazione tempo denaro neanche per sogno. Sebbene il portatile sul tavolino ripieghevole dell’euroqualcosa Milano Zurigo mi dava un’aria professionale. Smentibile immediatamente dalla mia sciarpa da bohemien in pensione e la mia giacca verde da guardaboschi d’Appennino che giacevano neglette sul sedile a fianco. Ben più vicino al vero fu il saluto che mi rivolse un ragazzone tedesco di poco più grande di me suppongo che camminava con una stella cometa sottobraccio. Era nei pressi della chiesa di Lustnau, il mio quartiere tubinghese. (Lustnau era una Ovada del Baden Wüttenberg dati demografici alla mano assorbita dal municipio di Tubinga in un certo momento non ricordo quale del Novecento. Lo avevo letto su wikipedia). Non mi salutò esplicitamente, ma lasciò il cenno, seppur sospeso, a mostrare la sua empatia. Avrò avuto l’aria del viandante soverchiato dal peso del suo zaino e di un trolley di chiara qualità scadente per ispirargli carità cristiana, chissà. Per un attimo pensai di convertirmi al cristianesimo. Cinque secondi dopo pensai a quelli che si fidanzano in Erasmus e sanno dal primo momento che tutto finirà. Se non potevo ingerire la prima menzogna così ben costruita e oleata nei secoli, come avrei fatto con la seconda, ben più superficiale e decostruibile? I tedeschi, pensavo, sono timidi. Una ragazza salì sul treno tra Horb e Tubinga con uno strumento musicale. Avrà avuto sedici massimo diciotto anni. Era castana e aveva un piumino a quadri. Un’aria dolce, semplice ed anche un po’ imbronciata. Non incazzata, imbronciata. Ascoltava qualcosa tipo metal. La Germania è piena di ragazze che suonano strumenti tipo violini che danno immaginazioni languide e frammezzano sfogandosi col metal. Tutto quello che ho notato in questo viaggio, l’ho notato tra Horb e Tubinga. Prima avevo una tesi da plasmare e un bel libro a farmi da paravento dalle mie emozioni. Ma quando poco prima di Horb finii di leggere del Codice dell’anima, che non era un romanzo di Dan Brown, ma un saggio di psicologia sul concetto di vocazione e destino che consiglierei a molti, beh, ritrovai quella selva di sensazioni dei primi tempi tedeschi. Solita commozione possibilista, cosa credete che non avessi già pensato a quali mondi possibili dietro una violinista tedesca di diciassette anni? (violinista, magari, anche no. Chi non mi dice, chi non vi dice che in quella custodia rigida non vi fosse un kalashnikov? (l’ho scritto giusto alla prima, oppure Word non se la sente di darmi torto)) mi è persino successo una cosa che diversamente mai mi succederebbe. Mi sono commosso per un bambino. Non è che odii i bambini, è che quando ero bambino io ero in mezzo a una vera e propria fucina di stronzi. Quindi, è comprensibile che non li ami. Al tempo stesso, cucci cù e altre amenità non hanno mai fatto per me. Ma sono intimamente naif come è vero che il lago di Garda è bagnato e se sono opportunamente ipersensibilizzato per gli affari miei, posso anche stupirmi sul regionale Horb Tubinga alle ore 15.41 del 7 gennaio 2009 in questo mondo dove una specie di mio padre di tre anni (Santo Freud non pregare per me!) giocava con me attraverso la porta vetri. Lancia cenni, e io li restituisco. Esplora, curioso come me per ogni porta aperta. (Ogni volta che sono su un treno strano o straniero – che poi voglion dire anche la stessa cosa – sono morbosamente curioso di vedere come è fatto il bagno. Ci sono diversissime teorie dell’arredo del cesso ferroviario a proposito). Non ho avuto ragguardevoli vicini di sedile. Quello che avevo sul Milano Zurigo parlava un francese sporco e aveva un volto emaciato. Fu perquisito all’altezza di Bellinzona e non è più tornato. NoNNnnN BNAltro momento, c’era una ragazza nana (è la parola più vicina alla realtà dei fatti che ho al momento quindi uso questa), cappotto blu, capelli neri, occhiali, scesa con me ad Horb, scesa con me a Tubinga, con me sull’autobus 1. Scesa alla fermata universitaria, Uni Neue Aula. Eravamo una buffa coppia, se capite il naif lago di Garda di cui sopra e non mi prendete per uno stronzo, stronzaggine che riflette solo il moralismo di chi punta il dito, io col mio zaino con dentro mezza casa, e lei. Abbiamo camminato assieme per un po’, afferrando al volo tutte le coincidenze. Siamo stati proprio bravi.


(7 gennaio 2010)

4 commenti:

  1. MI FAI MORIRE DAL RIDERE! XD Mi hai ispirato l'immagine di qualche manga giapponese in cui tu sei la ragazzina hotaku alle prese con le sue prime esperienze fuori casa che scrive sul suo diario ogni piccola nuova scoperta ignara o inconscia di qualsiasi lato oscuro delle cose... L'INVIDIA MI TRAVOLGE!! :D

    ANDROJINN

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  2. ..
    stupendo afferrare le coincidenze!!
    bello proprio bello :)

    La Vale

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  3. Caro Coccia, la tua poca abilità nel disegno è splendidamente compensata dalle immagini chiare, nitide (e a colori) che riesci a creare con le parole. Questa è scrittura in 3D...la prima dimensione contiene le parole come significante; la seconda le stesse nel loro bellissimo significato; la terza, muovendosi leggermente alle spalle della seconda, proietta davanti ai nostri occhi, allo stesso modo di uno schermo cinematografico, ciò che tu hai vissuto in prima persona. E dev'essere stato meraviglioso.

    Giocher

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  4. Ma parla come mangi! (anzi, no, che mangi troppo!)

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