giovedì 29 aprile 2010

Donny: "La storia del giovane vecchio" Capitolo 1° -Ricordo-

La storia del giovane vecchio

Capitolo 1°...

"Ricordo"

il giovane vecchio mi racconta:
"mi ricordo quando le scrissi cosa significasse amare, per me: 'ascoltarla con falso sorriso mentre racconta contenta di come sta bene
con un altra persona ed essere, in fondo, felice perché almeno lei così lo è..
essere tristi mentre la si guarda sorridere perchè un altra persona riesce a farla star bene con molta più facilità rispetto a me;
ma nonostante questo gioire nel vederli insieme per gioire del suo sorriso..
esserle amico perchè nulla di più potrà mai essere e riuscire a consigliarle come conquistare qualcun altro..
esserle amico perchè nulla di più potrà mai essere e starle accanto quando ha bisogno di me,
quando sta bene non sono io quello che lei cerca ma consuma i suoi sorrisi con persone più fortunate..
amarla perchè solo per lei riesco a provare un odio così profondo..
amarla incondizionatamente sperando di poter dire: "Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona",
sapendo che non sarà mai vera la seconda parte..'.
mi ricordo tutto questo, eppure dopo non molto tempo già dimentico il suo volto;
mi ricordo il primo abbraccio, come una fitta di calore che riaccende il battito;
mi ricordo mille istanti, fotogrammi che mi sforzo di dimenticare ma non vi riesco.. il destino la mise per me come una sorella e non di più, forse un giorno
riuscirò a viverla così.
troppo presto, è sempre stato troppo presto..tutto così veloce, in pochi mesi tutto si crea e tutto si distrugge.."

dopo una pausa di qualche minuto sorseggiando il the caldo il giovane vecchio mi mostra una frase che scrisse pensando a lei, una delle famose
poesie che solo da innamorato riusciva a scrivere, una frase che a suo dire rappresentava la pace nel mondo, una visione di serenità
che sarebbe divenutà realtà perchè per lui, se negli occhi di lei si fosse riflesso lo stesso amore allora in tutto il mondo ci sarebbe stata pace, poichè
a lui solo di lei importava...: "ho avuto una visione, c'era silenzio e i fiori non temevano i passi degli uomini".

il giovane vecchio sospira, si accende una sigaretta e con un sorriso pronuncia il suo nome..

"un giorno forse, quando riuscirò ad accettare ciò che sei, ti abbraccierò con forza;
ma questo solo quando avrò trovato l'amore in un'altra donna e potrò vederti per quello che realmente puoi solo essere.. una sorella.."

dice guardando verso la finestra..

"mi ricordo quando lei non c'era.. mi ritenevo il diavolo;
ero arrabbiato con il mondo avrei solo voluto veder bruciare il tutto, le donne nella mia mente erano solo oggetti in cui cercare il piacere
e non mi importava di far del male, non mi importava nemmeno della mia salute; era come se la rabbia, l'oscurità, vivesse in simbiosi dentro di me
donandomi forza infinita e infinita salute.. nulla mi turbava, nulla mi fermava, come una locomotiva riempivo il mio corpo di malessere il quale mi
alimentava..
ero rabbia pura.. senza anima..
i soli sogni che avevo erano disegni di perversione e ricchezza, materia e nulla di più..
lucifero era il mio nome..
gli altri, solo strumenti per il mio interesse..
tutto quello che mi era accaduto si era radicato in me divenendo consapevolezza che nulla aveva senso,
che non vi era ne fede ne speranza ne tanto meno amore in questo mondo..
poi quel giorno tutto cambiò..
forse era destino perchè nel soffrire per lei ho imparato ad ammettere i miei errori;
e cosa ancora più importante ho imparato che sono solo umano.. ricordo una storia: un ragazzo è in preda al panico per un esame,
è disperato, teme di non passarlo ed è consapevole che questo determinerà il corso della sua vita futura, col passare dei giorni e l'avvicinarsi
della prova diventa sempre più aggressivo nei confronti degli altri.
non parla con chi gli chiede se vuole una mano, anzi si fà nervoso e acido.
Poi una settimana prima dell'esame si reca al mare per distrarsi, si getta in acqua e nuota, nuota sgombrando la mente;
riesce a dimenticare l'esame, la casa, le persone e continua a nuotare imprimendo nell'acqua tutto il suo turbamento.
All'improvviso si rende conto di essere troppo al largo, la corrente si fà forte; la stanchezza è molta e i crampi gli rendono quasi impossibile
muoversi, così temendo il peggio si fà forza e lotta contro quell'immenso blu in cui lui è solo un piccolo, insignificante puntino.
alla fine arriva a riva sano e salvo.
da quel giorno non provò più timore per l'esame, torno ad essere quello di sempre e il grande giorno fu un successo.
passò con il voto massimo e senza nessun timore da sfatare..

è incredibile come le forze della natura possano, in poco, abbattere la nostra presunzione..

è un pò quello che è successo a me, l'amore che provavo e le situazioni in cui mi ritrovavo erano un immenso blu..
se non fossi quasi affogato forse ora penserei ancora di potermi paragonare a Dio.."

dopo di che il giovane vecchio spegne la sigaretta nel posacenere, finisce l'ultima goccia di the, e mi rimanda a un altro giorno..
stanco dei ricordi si rifugia qualche ora nel sonno dove immagini di un fittizio futuro idilliaco gli regalano un pò di quiete.


Donny.

mercoledì 28 aprile 2010

Donny: "La storia del giovane vecchio"

La storia del giovane vecchio...

Non molto tempo fà, in un paese non troppo lontano viveva un giovane vecchio..
La sua storia è curiosa; bisogna aver voglia di ascoltare.

Era ancora un piccolo bambino quando a differenza degli altri intorno a lui non socializzava mai..
veniva messo in disparte così per ira meritava la punizione diventando stranamente cattivo nel suo vendicarsi..

Pochi sono i ricordi che riporta della prima parte ma la seconda si che è interessante.

Dicono che sono le esperienze a far maturare, se per esperienze si intendono le cose che ci succedono si spiega
perché il giovane invecchiò in fretta..

Venne, all'improvviso, trasportato in un luogo nuovo, bello al suo primo approccio;
ma come prima il problema non era il luogo ma le persone che lo abitavano.
Nulla da fare figuriamoci! il ancora giovane giovane vecchio non riusciva a comunicare..
In casa in silenzio ascoltava i grandi permettendosi ogni tanto di intervenire per poi ripiegare in ritirata
appena palesata la sua ancora debole dialettica e l'ingenuità del suo intelletto.
Così passava molto tempo a pensare ed a osservare il mondo intorno a lui; gli stessi comportamenti umani
come una manifestazione fisica incuriosivano la sua mente.
Osservava e pensava mentre intorno a lui tutto scorreva anche se all'epoca non desse importanza al tempo.

Naturalmente come ogni giovane uomo non era privo di istinti e soprattutto non era privo di sentimenti,
quello sciocco si innamorava con una facilità impressionante.. bastava poco, poiché poche erano le
ragazzine che gli prestavano attenzione o che anche solo per un'istante erano incuriosite da lui;
un pò come un fantasma impedito nel parlare agli altri si incantava non appena una ragazza lo notava:
"Un miracolo! mi ha Visto!" questo pensava..
Così tutta la sua sensibilità si sconvolgeva in un travolgente fiume di emozioni che non lasciavano scampo
alla perdita della ragione..
E' in questi periodi, ricorda il giovane vecchio, che gli veniva naturale e facile scrivere sublimi poesie
e formulare veri concetti d'amore.

Tuttavia raramente si presentò l'amore nella sua vita, mai al di fuori della sua casa; con un eccezione...

Quando in preda alle crisi dell'adolescenza cercava ancora la sua identità si presentò una ragazza nella sua vita;
questa sembrava come lui.. diversa.. ed era curiosa, e inspiegabilmente ascoltava l'ancora giovane giovane vecchio..
inspiegabilmente gli rivolgeva la parola cosa che nessun'altra aveva mai fatto.

Inutile dire che il giovane giovane vecchio rimase travolto come non mai e con il nome di lei inciso sul cuore continuò
a osservare il tempo scorrere anche quando non sapeva dove lei fosse.

Nel frattempo l'ancora giovane giovane vecchio perse tutto quello che aveva, quello di cui in realtà non importava per sua volontà
e il resto gli venne strappato via.. rimase solo, maturò diventando il giovane vecchio ma perse anche l'interesse a vivere, o almeno
a vivere come tutti vivono, infatti smise di impegnarsi ad assomigliare agli altri e col tempo smise di farsi vedere in giro..
importava solo di lei..

A questo punto della storia tutto si fà un po triste..

Il giovane vecchio è solo, posto davanti alla tastiera ma incapace a suonare, obbligato invece a improvvisare ("la leggenda del pianista sull'oceano"),
lui l'ho ripeteva la sera parlando al vuoto: "io non so suonarla, perche proprio io?, da solo non posso, non so nemmeno chi sono..".

E lei? dov'è lei?.. bhe curioso questo passo del racconto..

lei tornò a dargli affetto, una buona amica che dava fin troppo, ma lei aveva gia una sua vita e di certo non era con il giovane vecchio!
che si credeva quell'ingenuo giovane che la vita che lo aveva reso vecchio gli desse la soluzione subito?! Solo un giovane vecchio puo essere
tanto sciocco..
Ma lui impazzi d'amore, e poco a poco di gelosia.. non riusciva ad accettarlo anche se si rendeva conto che lui non era proprio adatto alla lei
in questione, insomma lui era socialmente pazzo, strano, insolito.. un folle, solo, che elemosinava affetto per illudersi la sera di non addormentarsi
solo in mezzo all'oscurità, ma aime era così..

Lei poverina non sapeva come comportarsi..povera potete immaginarla travolta dagli scleri intellettivi e emotivi di quel pazzo..
Col tempo inizio a stancarsi e anche se aveva promesso a se stessa che gli sarebbe stata accanto iniziò a perdere le forze,
era troppo per lei, quando il giovane vecchio stava bene ed era ricco di sentimento era capace di gesti folli per la sua amata,
ma quando era giù, ed accadeva spesso, lei veniva ricoperta di insulti, aggredita e questo perchè la gelosia del nostro amico era
pari all'amore che provava.

Così un giorno, quando al giovane vecchio non rimase più nulla, e quelle poche persone che gli erano rimaste sono venute a mancare, lui
si fece prendere dall'ira per una stupida conseguenza a costrutti mentali dovuti alla fede religiosa che in lui nasceva per resistere
alla cruda realtà,i quali entravano in conflitto con gli stessi desideri e con lo stesso rapporto creando una tensione folle, che in
fine, inevitabilmente, lo portò a provare una rabbia immensa.. un dolore che per difesa muta in odio portandolo poi a scaricare
il tutto su l'amata.. già..
su di lei..
povera..
cosa centrava lei??
non era stata lei a fare della vita del giovane vecchio un inferno senza fine, ma il fato..

così lei esasperata se ne andò via, lontano dal pazzo.. come fecero poi anche altri..

vi chiederete come viva ora il giovane vecchio..
bhè, ora è una persona troppo giovane per diventare uomo, e troppo vecchio per vivere la gioventù..

è li seduto davanti alla tastiera senza sapere da che parte cominciare..

a volte è disperato e prega un eventuale dio di dargli una mano, la sua fede vacilla e in poco sta male nuovamente..

depresso, con parecchi problemi e ora fatica a uscire due metri di casa...

solo, parla al nulla sperando che qualcuno nascosto dietro la porta venuto per aiutarlo lo ascolti, per poi capire, per poi aiutarlo..

e aspetta.. aspetta un miracolo..

arrabbiato con se stesso per il dolore causato a colei che amava, l'unica che gli avesse mai voluto bene..
aspetta..
lacrimando su un folle sorriso di disperazione, il giovane vecchio aspetta..

secondo voi come continuerà la storia ??


Donny.

lunedì 26 aprile 2010

La Vale ....dentro - fuori..il riflesso distorto ....


Ed è così che mi sento ultimamente dentro e fuori... fuori e dentro da cosa?



da qualsiasi cosa!



da qualsiasi gruppo o piccola entità che crede di essere un gruppo...



le regole le costrizioni di esso mi tolgono l'aria...mi fanno sentire senza energie stimoli..ma solo opressa e sotto sentenza...



oggi mentre facevo l'esame mi sono resa conto di quanto il tempo possa passare veloce, di quanto l'emozione l'angoscia e il voler scrivere troppo non razionalizzando e ordinando le idee sia deleterio per me...non riuscire a prendere aria, fiato in gola...ma provando solo il brivido del tempo che passa e della penna che non riesce a razionalizzare parole....fluiscono impazzite e senza senso
E' da un pò che mi sento così sotto esame !
sotto critica costante perchè non aderisco pienamente alla norma di gruppo di essere conforme per forza a qualcosa...mi sono stufata e alla fine non riesco ad ordinare come vorrei i pensieri che si accavallano in modo confusionario uno sopra l'altro non lasciando spazio a nulla..se non il caos!

la costrizione sociale e mediatica mi da alla nausea e ora inizierò a comportarmi come quella disobbediente che non appartine a nessuna cosa che sia rigida o che imponga troppi paletti che sia un gruppo di amici e non
ma soprattutto sono delusa da una persona che credeva non arrivasse così a tanto
e preferisco restare per conto mio a questo punto!

le critiche e la negoziazione fanno parte di noi questo non deve però essere esasperato in modo esagerato!!
LA VALE

mercoledì 21 aprile 2010

La Vale: "Vergogna di Vergognarsi..."


Vergogna l'emozione sociale che si prova tutte le volte che siamo a contatto con altre persone! così diceva Goffman...
Ebbene sìì...

chi di voi non ha mai provato quella situazione sgradevole di diventare "rossi come dei pomodori" davanti ad una situazione imbarazzante???Quella sensazione di calore che innonda il viso e non puoi nè nasconderti nè tantomeno non renderlo visibile a tutti...?

Credo in molti.. Come il vergognarsi per se stessi....tutte umiliazioni più o meno forti che derivano dallo stare insieme il vivere insieme ad altri...
Stare in questa società e sentirsi bene nel proprio gruppo non è così semplice....!
Vergogna per cosa?


Imbarazzo perchè?


Quando ero piccola immaginavo di stare ad una di quelle cene di gala magari di qualche multinazionale da boicottare..e ad un certo punto alzarmi dal tavolo con una mano tirare giù la tovaglia,salirci sopra e urlare qualcosa di rivoluzionario... magari con altri rinforzi che arrivano pieni di striscioni e slogan urlati...beh questo nell'immaginario collettivo non è proprio il massimo della desiderabilità e dovrebbe creare una forte sensazione di imbarazzo nei partecipanti alla cena di gala solo per "essersi immedesimati in me"...e io???E


E io no.... rido sorrido di saper pensare a cose "scomode" o meno che le persone pensano e immaginano bollandoti come deviata sociale... e credo anche che non bisogna vergognarsi mai di se stessi....


Ognuno è ciò che è... ognuno è ciò che fa,che dice che racconta... un pezzo piccolo e indelebile di se... Ogni minuto va vissuto intensamente e ridendo delle proprie scemate... arrossendo in pubblico e sapendo sorridere dei propri difetti... quei difetti che rendono ognuno di noi "diversi e speciali"..anche se a volte subentra lo stato dell'imbarazzo della vergogna...bisogna comunque superarlo e riderci sù...Non farsi "etichettare" per forza come deviato se ci si comporta non come "gli altri vorrebbero che noi ci comportassimo"in fondo nessuno obbliga a fare nulla..e tantomeno seguire delle costrizioni sociali...

Quindi cerchiamo di non provare troppa vergogna e imbarazzo per noi stessi...non pietrifichiamoci troppo dalla timidezza, dai lacci che ci tengono fermi le caviglie e i polsi...così forte da renderci immobili....slacciamo e sleghiamo quei fili invisibili che ci ancorano troppo alla realtà e cerchiamo sempre di più di muoverci di saltare di ridere e scherzare liberi senza catene e senza impedimenti o concezioni troppo ristrette...

Se non impariamo a ridere dei nostri errori....ma ci vergogniamo e basta---vuol dire che non proviamo nemmeno a vivere intensamente senza provare a slegarci dalle catene che bloccano lo nostre "ali"...

LA VALE

venerdì 16 aprile 2010

DONNY: "Solitudine come obbiettivo e necessità"

Stare soli non è facile, proprio perche bisogna fare i conti con se stessi, e perche in queste circostanze si accusa il famigerato "vuoto

interiore" che tutti possiedono in modo innato. Tutti però cercano di colmare questo vuoto attingendo dall'esterno: facendo cose, studiando, amoreggiando, con gli amici, con gli

svaghi, con il lavoro. Chi lavora poi nel tempo libero si tormenta di trovare un hobby pur di non restare "solo" (in questo caso per "solo" si intende anche il semplice

conversare con se stessi). Alla fine di tutto ciò però si ci rende facilmente conto, dopo una breve riflessione, che attingere dall'esterno non colmerà mai quel vuoto;

tutt'altro, nascerà una dipendenza dagli svaghi che dovranno essere sempre maggiori per colmare il nostro "vuoto".
Questo si dimostra proprio perchè ogni svago finisce, ogni ricchezza porta sempre al desiderio di maggior ricchezza, perfino quando uno trova l'Amore che cercava finirà col dover

notare i difetti di quel rapporto o addirittura, quasi inconsciamente, a creare problemi illusori nel rapporto proprio per creare il "Moto". Questo "Moto" che rappresenta tutte

le attivita: fisiche, intellettive, spirituali e sentimentali, è in fine il mezzo più comunemente usato per colmare il vuoto, che deriva dall'incapacità di vivere con se stessi..
Io trovo che anche una solitudine "forzata" sia un buon terreno di allenamento per imparare a conoscere se stessi, fare i conti col proprio interiore, e inoltre d'aiuto per

sviluppare l'intelletto (per intelletto non si intende la cultura o conoscenza che invece si sviluppa con conversazione e studio)..
Per tanto la "capacità di star soli" non è altro che il massimo obbiettivo che un individuo possa raggiungere (uso il termine individuo per indicare soggetti coscenti di

esistere, molti non lo sono).
Naturalmente questa solitudine deve essere dominata dalla ragione e non dall'emotività, questo per evitare di impazzire o di peggiorare la situazione; ogni individuo in linea di

massima, nella maggior parte dei casi, vive trascinato dagli eventi, manovrato dal caos e le sue stesse scelte, incosapevolmente, sono determinate da influenze esterne (proprio

per la proprensione ad attingere dall'esterno), per tanto ognuno è un automa governato dal "resto"; Invece un individuo che con la ragione consegue la capacità di vivere con se

stesso trarrà dal "resto" solo ciò che apprezza e rigetterà con facilità ciò che di negativo vi si trova senza il minimo sforzo, anzi sarà naturale.
Ma per non essere succubi del "resto" del "tutto" bisogna essere invece padroni del "tutto" nel senso in cui gli eventi che circondano lo spazio più vicino a noi, quindi

direttamente collegati alla nostra vita per non essere "causa" e le nostre azioni "effetto" è necessario che noi diveniamo "causa" e il resto "effetto". Questo vuol dire Seneca

con: "Per sottomettere tutto a te, sottometti te stesso alla ragione". Dove per tutto appunto si intende la nostra vita. Per tanto in conclusione per essere padroni della propria

vita è necessario passare dalla "solitudine" così da aqcuisire le capacità necessarie per conoscersi, gestirsi, affrontarsi, imparare a dominare le proprie scelte in modo

razionale (la ragione è l'unica cosa che realmente ci differenzia dagli altri animali, sarebbe stupido porla in fondo alla piramide che rappresenta la nostra mente ). E qui si ci

ricollega al tema del Post sulle aspettative, per mia opinione sempre, si giunge alla conclusione che l'individualità interiore risolve parecchi problemi compreso l'errore delle

aspettative ecc.. Tutto ciò si raggiunge solo con la solitudine, dove poi la persona intelligente troverà la fonte per colmare il proprio vuoto, non attingerà più dall'esterno ma

bensi da dentro se stesso; Sarà lui a generare il "moto", e sarà lui la "causa". Arrivati a questo punto dello sviluppo interiore poi l'individuo troverà la vera felicità e la

famosa "pace interiore" che rende gli illuminati così pacati e calmi anche difronte alle peggiori circostanze. Ma per arrivare li c'è molto da fare. Io stesso sono ancora all'inizio, ma

gia ora apprezzo e trovo molto piu appagamento nella solitudine più che in compagnia, o in mezzo alla ressa, quest'ultima appunto inizia a mutare in un fastidio che mi distoglie

dai miei interessi che appunto sono dentro di me e non fuori.... Tutto ciò, in me, è nato grazie a persone che, principalmente a causa mia, hanno contribuito alla mia solitudine,

e in fondo le ringrazio; anche se non capiranno mai chi sono..


Donny.

LA VALE: UNA BANDIERA PER SOLIDARIETA' ...IO STO CON EMERGENCY


“IO STO CON EMERGENCY”


BANDIERE SUI BALCONI PER EMERGENCY
venerdì 16 aprile 2010 alle ore 0.05
Fine:
domenica 25 aprile 2010 alle ore 3.05
Luogo:
nel mondo

Per tutti quelli che non potranno essere presente a Roma alla manifestazione e anche per chi ci và, propongo di mettere le lenzuola bianche o le bandiere di Emergency ( per chi le possiede) nei balconi e nelle finestre, saranno visibili a tutti e potremmo dare la nostra solidarietà oltre la data del 17 aprile, giorno che si terrà la manifestazione, magari tenerle appese fino al 25 APRILE giorno della LIBERAZIONE...La solidarietà non ha colore sopratutto quando si attaccano medici in prima linea contro le multinazionali delle guerre e delle armi...IO STO CON EMERGENCYFATE LE FOTOGRAFIE E PUBBLICATELE QUI...LA STAMPA NE TERRA' CONTO.FATE GIRARE NEI VOSTRI CONTATTIGRAZIE DI CUORE********************

Per firmare l'appello di EMERGENCYsito ufficialehttp://www.emergency.it/**********************

Pagine amiche su FacebookFirmiamo tutti la petizione di EMERGENCYhttp://www.facebook.com/event.php?eid=110048029028175&ref=nf


LA VALE

mercoledì 14 aprile 2010

Coccia - Non-Risvegli

Le sensazioni provate al risveglio. Un senso di attorcigliamento senza apparente motivo. Sentirsi nodoso come un ulivo e non trovarne le tracce dei perché. Fare lo screening delle preoccupazioni coscienti e sentire che è tutto sotto controllo. Certo, ci sono seccature, affitti da pagare, disdette da dare, e via dicendo. Ma ci sono momenti in cui ognuno di questi tasselli è come una avventura per cui pagheremo quasi il biglietto. In cui trasfiguriamo anche il momento più stupido e apparentemente inutile. E ci sono giorni che ti svegli pesante e sordo, ti senti come un muro di cartongesso, come una campana vuota che non suona, ma vibra solo come una cosa pesante e sgraziata. Inizi le cose automaticamente, perché è giusto farle, perché altrimenti se rimani indietro sulla catene di piccole e grandi cose che è necessario fare per mantenere una decenza è un casino. Si scatena un effetto domino delle piccole cose non fatte o fatte male per mancanza di pienezza. I piatti lasciati la sera prima, col sugo un po’ incrostato. La roba che togli dal letto e ammonticchi sul pavimento. Non hai neanche voglia di fare colazione. O meglio, non ti viene spontaneo. Hai un fine che ti sospinge fuori di te, scadenze, e fai le cose senza ispirazione. Così, perdi tutto il resto che hai intorno. Ma ti rendi conto che stai facendo le cose male. Che basterebbe molto poco a trovare un modo giusto. Una musica giusta, magari. Oppure che splendesse solo il sole. Provi a fare una doccia, a rilavarti i denti. Non c’è niente di esplicito in quello che senti. Semplicemente, hai iniziato la giornata, fai cose meccanicamente, e prima di tutto ti sei dimenticato di essere un essere vivente. E tutto allora diventa profitto o perdita di tempo. Ma in realtà l’unico tempo perso è quello che non viene vissuto con presenza.

lunedì 12 aprile 2010

ANDROJINN - MEMORIE INFALLIBILI 00

Sperimentiamo la vostra memoria, la vostra capacità reminiscente.
Quest'oggetto sicuramente ha fatto parte della vostra vita, anche solo per un attimo o un sorso; raccontatemelo. Sono curioso dei percorsi e le dinamiche umane che agiscono intorno ad oggetti più o meno comuni, curioso di sapere se ci sono connessioni o parallelismi.

:)


ANDROJINN

mercoledì 7 aprile 2010

La Vale : LA PERDITA DEL SIGNIFICATO..




la luce mi fa male agli occhi...brucia tantissimo e faccio fatica a tenerli aperti... a ritrovare la strada...corro solo per il gusto di farlo,senza capire dove sia la mia meta...

Ci sono periodi in cui non riesci a fare nulla, t senti solamente risucchiata da una voragine di emozioni altalenanti belle e brutte, che ti fanno perdere l'orientamento visivo e cognitivo, non sai più chi sei, come ti chiami, perchè stai scrivendo digitando nervosamente sulla tastiera...

Sì è perso il significato delle parole..si è perso il significato di voler bene, di dire ti amo con gli occhi con il cuore, di piangere, sorridere, ridere, arrossire, stringere un fiore, assaporare, regalare, parlare, mangiare un gelato seduti su una panchina, scherzare, litigare, imparare a crescere, ma soprattutto a riconoscere i propri difetti piccoli o grandi che siano!
Un bolla di sapone che troppo presto scoppia trasformandosi in mille particelle bagnate, minuscole impercettibili..
che cosa vuol dire amare veramente? voler bene? affetto...legame...
assaporo tutto ciò..che cade senza lasciare traccia visiva, ma che dentro di me ha lasciato un segno indelebile...
perciò mi dispero e mi accontento...
mi accontento di essere felice, ma non ci si può accontentare per sempre e chiudersi gli occhi......
prima o poi la valanga arriva e quanto sei meno preparato e non sei abbastanza pronto per riceverla... l'impatto ti travolge e ti devasta lasciandoti senza fiato,laccrime e sorrisi!
senza se e senza ma, ha deciso di farlo e tu non puoi opporti..
meglio rischiare o avere la certezza la comodità?
meglio saltare ad occhi chiusi o aperti?

Ho deciso di vivere senza limiti di identità, ho deciso di impattarmi contro la realtà di pagarne le conseguenze, di mandare tutto al diavolo e di vivere senza sicurezza senza certezze senza paracadute senza cinture ...ma valutando il significato di ciò che faccio..pesando le parole ad una ad una,senza farmi prendere dall'entusiasmo immediato...
ma poi ne sarò capace di tutto questo?
Non lo so ...Ora so che ci voglio provare

LA VALE

giovedì 1 aprile 2010

Coccia - Destra / Sinistra – Un tentativo all’altezza dei tempi

Sono destra e sinistra categorie politiche e morali ancora valide? Quali definizioni possiamo trovare per esse? Su quale fondamento possiamo definirci di destra o di sinistra? Prima degli uomini politici, più o meno disgustosi (presupponiamo il disgusto piuttosto che l’adesione, ma se vivessimo in un altro paese potrebbe benissimo essere il contrario, primo segno di disagio italiano), prima dei partiti che più o meno ci rappresentano (crediamo in qualcosa come un partito? In un organismo cioè che in base a punti di un programma – e si può dire che certi partiti abbiano un programma? Soprattutto se fanno promiscue alleanze?), destra e sinistra sono categorie che nessuno ci toglie dalla testa, sebbene molte siano le immagini, più o meno ingenue che assiepano la nostra mente, vediamo di capirci qualcosa.
Tanto per iniziare: perché si vota destra piuttosto che sinistra? (e prima ancora perché si vota?) Si può votare per ideologia (‘perché i miei valori sono questi’) tanto perché si è guardato ai risultati (‘il candidato di c.sinistra che gestisce la mia regione ha lavorato bene, quindi lo confermo; male, quindi voto centrodestra’). Personalmente non posseggo l’onestà intellettuale di optare per la seconda. Il mio voto è un voto ideologico, prepolitico se vogliamo perché fa appello a valori, qualcosa di filosofico e di etico, e non a ragione politiche, ovvero della concreta amministrazione della polis (che poi, esiste una politica che possa a fare a meno di una morale? Non parlo della immoralità della casta-classe politica italiana, parlo in generale.) Si può votare ‘contro’ (‘il pd mi fa schifo, però votare contro Berlusconi è doveroso’), si può votare per simpatie tragicamente apolitiche (Berlusconi che dichiara ‘non votate la Bresso, una donna che non si guarda allo specchio, ergo brutta, ergo peccato capitale nell’epoca bello = buono che lui ha inaugurato, non riprendendo il kalos kai agathos o come diavolo si scrive di Platone ma fondando realmente la società dello spettacolo di cui parlava Guy Debord. Si può votare in base a immagini più o meno ingenue e sentimentali (‘se la politica è un film western, quelli di destra sono i cowboy, quelli di sinistra gli indiani. A parte che ci han sempre fatto vedere gli indiani come aggressivi.’) Certamente non occorre essere marxisti per essere d’accordo col barbuto filosofo allorchè dice ‘la storia è da sempre storia di oppressori ed oppressi’. E sempre sarà? Se si risponde sì, difficilmente si può essere comunisti ortodossi. Rispondere si a questa domanda (o anche no) ci pone di fronte a un fatto per cui molti storceranno il naso sentendo la parola che sto per dire: la politica è anche una fede, e non è qui il teologo che io sono che attua una deformazione professionale, intendendo per fede l’atto di sperare in, fidarsi, attendersi, avere fiducia, credere. Personalmente, credo che la storia sarà sempre d’oppressori ed oppressi, per cui non posso essere comunista. Non spero abbastanza per esserlo. Non spero proprio. Ma torniamo a destra e sinistra.
Partiamo dalla destra, che è più facile. La destra si dice in molti modi. C’è la destra conservatrice, che poi cosa vuol dire? Valori della tradizione: patria e famiglia. Con probabili abbondanti spruzzate di cattolicesimo in stretta connessione con la sede cattolica apostolica romana. Molto impegnativo, soprattutto visto che l’intera classe politica ha religioni ben più secolarizzate da seguire. Ed è poi accettabile l’influsso della religione nella politica? E della Chiesa nella politica? (sono due cose diverse. Per come la vedo io, la religione può fornire valori morali sentiti autonomamente. La Chiesa è una autorità morale esterna che si sostituisce all’individuo). Naturalmente uno può appellarsi ai valori della tradizione anche essendo di sinistra, ma parole come patria e famiglia suonano indubbiamente di destra. Anche il nazionalismo, una cosa che in Italia praticamente non esiste (a ben donde, direi) suona indubbiamente di destra, in questo senso. Ma che cosa vuol dire essere nazionalisti? Un sentimento patrio d’anime belle, o forse una spiccata xenofobia che è alla base di un partito che tutti conosciamo? Il secondo modo d’essere di destra è infatti quello aggressivo, fascista / leghista, quello che si edifica sulla repressione dell’Altro, dall’incarceramento dei dissidenti nel Ventennio, alla radiazione di Luttazzi, Bigazzi, Biagi, Santoro, Busi, e-chiunque-abbia-una-opinione-e-non-due-tette, ai proclami prendere a calci nel culo gli immigrati e subito dopo pulirsi gli stivali con saponette omaggio. Ma da dove questa violenza? Uno dei motivi per cui sto qui scrivendo è proprio rispondere a questa domanda. Il terzo modo di destra, che poi è quello più profondo e che ricomprende i primi due, è quello della destra capitalista, intendendo per capitalista chiunque produca un reddito, quindi chiunque. Anche un pischello coi 20 euro di paghetta settimanale datagli da mamma e papà gestisce un capitale. Personalmente, reputo la distinzione tra capitalisti e classe operaia non all’altezza dei tempi, e le urne lo dimostrano. Ne parlerò nel paragrafo sulla sinistra. Il pensiero liberale, nella sua versione liberista, è il pensiero della destra capitalista.
La distinzione destra / sinistra si regge sull’interpretazione del pensiero liberale, a mio avviso.
Faccio un esempio concreto. Beppin guadagna 1000 euro al mese. Non è tanto. Lavora in un campo in Veneto, come bracciante. Si fa un culo così. non importa se il campo sia suo o meno. Lui ha quei soldi di netto a fine mese. E si fa un culo tanto, lo ripeto. Quando deve pagare le tasse (ipotizziamo, per facilità di calcolo: imposta del 10%) si chiede: per che cazzo devo dare 100 euro che ho sudato duramente a quei terroni dell’ostia? Beppin non lo sa, ma sta applicando il pensiero liberista. Il pensiero liberista è quel pensiero che afferma che ogni intrusione dello Stato sulla libertà del cittadino è un furto, un sopruso. Non è poi così diverso dai lineamenti del pensiero anarchico, tanto è vero che negli Stati Uniti si è sviluppata tutta una teoria interessantissima e solo apparentemente paradossale che si chiama anarco-capitalismo. Il liberista dice: perché devo dare allo Stato dei soldi che sono miei? Il problema è, che, postulando che lo Stato sia onesto (lo so, occorre un grande sforzo, ma c’è chi come Tolkien ha creato un mondo parallelo, no, forse è più facile pensare gli Hobbit) quei soldi non dovrebbero essere meramente per lo Stato, bensì per – introduco una parola chiave nel mio discorso – redistribuzione.
Redistribuzione significa che se l’aliquota tasse è per tutti 10% chi guadagna 1000 paga 100, chi guadagna 10000 paga 1000, sicché chi guadagna 1000 e tanto bene non sta, può migliorare la sua situazione attraverso l’investimento del 1000 pagato di tasse (se non evaso ehm ehm) di chi guadagna 10000. redistribuzione significa capire la paradossale solo apparentemente frase di Aldo Busi allorché dice: ‘sono contento di pagare le tasse’. Le tasse sono di sinistra. Le tasse sono un principio di ridistribuzione sociale. Le tasse sono ciò che, drenando del 10% (la percentuale, ripeto, è un esempio) tanto il ricco proprietario quanto l’umile bracciante (qui le classi sociali esistono, ma vedremo fino a che punto) permette lo sviluppo di un tesoro comune che ritorna al cittadino sotto forma di servizi come trasporti, scuola, ospedali. Questa cosa si chiama Welfare State. Il Welfare State, o Stato Sociale, è il principio in base al quale lo Stato si prende cura dei suoi cittadini offrendo servizi, appunto, statali, come la scuola, gli ospedali, le ferrovie. Tutto questo parte anche dalle tasse e dalle tasche dei cittadini. Se non che, slogan come MENO TASSE PER TUTTI fanno gola. Chi, di primo acchito, a voglia di pagarle? Chi ha voglia di pagare l’Ici? Se non che, meno tasse per tutti, significa meno servizi per tutti, anzi, meno servizi per molti, per i molti cioè che fan fatica ad arrivare a fine mese. Se prendiamo uno Stato a Welfare State molto ridotto come gli USA, dove vive davvero la legge di una canzonetta punk ‘kill the poor’, ‘ammazza il povero’, accade che l’Università ha rette esorbitanti solo quindi in un feudalesimo postmoderno per figli di papà, la sanità (Obama sta tentando di riformarla con grandissimo sdegno) è fatta in modo tale che se sei povero e ti ammali sei già quasi morto. O hai soldi, o muori. Max Weber, l’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Un consiglio di lettura, una realtà effettiva. Le tasse aiutano quindi chi ha di meno, perché, almeno in teoria, sono ciò che permette una ridistribuzione sociale.
Il problema è: chi crede nella ridistribuzione sociale oggi? Viviamo in un’epoca di crisi, e le epoche di crisi sono epoche di destra. Questa è la prossima cosa che cercherò di affrontare. Il paradosso di cui tutti parlano è quello per il quale gli operai votano Lega Nord. Cerchiamo di capirci qualcosa. Prima di tutto, spendo due parole sulla sinistra, che anche lei si dice in molti modi.
E’ attuale dire che la sinistra sta dalla parte dei più deboli, di chi guadagna meno, di chi ha un lavoro precario? Certamente si. Quello che è cambiato rispetto agli anni Sessanta è che allora era una classe sociale, adesso è la società intera ad essere precaria e nell’incertezza. Il fondamento del Sessantotto, tanto demonizzato oggi, è l’associazionismo. Il sentimento di appartenere ad un classe, ad un gruppo di persone che hanno un’urgenza, un problema condiviso, e che vogliono cambiare. Ciò che manca oggi è l’associazionismo. Il problema c’è, siamo tutti nella merda fino al collo, ma manca lo spirito di gruppo, per due motivi almeno: perdita di fiducia nell’idea di gruppo, sia esso il club dietro all’angolo o il partito che sembra stare in una trascendenza intoccabile quale neanche il Dio del Sinai, e accresciuto individualismo. ‘Coltivare il proprio giardino’ è la tipica risposta in quest’epoca di crisi. ‘Io faccio il mio, faccio il mio lavoro, coltivo il mio progetto, ma non credo in nessun miglioramento epocale’ dice questa voce rassegnata ma operosa. Il problema è che le ambizioni personali, il desiderio di realizzarsi per quello che si sente si potrebbe essere (professore di liceo, giornalista, pasticcere, contadino) poggia su un sistema statale e parastatale che lo fonda. In altre parole, i progetti personali si realizzano in un mondo che è fatto di politica. Ottenere un posto fisso da professore di liceo non dipende solo dalle competenze che posso acquisire, ma soprattutto dai tagli o dai finanziamenti al ministero della pubblica istruzione. Forse non pensiamo abbastanza a quanta politica c’è nelle nostre vite. Il problema è che gli aspiranti professori, e non solo loro, non si riuniscono, non si incazzano, non ci credono. Un giornalista di un mensile culturale afferma: ‘stiamo perdendo il gusto dell’indignazione’, in altre parole, parafrasando Camus, non ci incazziamo più, siamo rassegnati, e senza incazzatura, una sana incazzatura consapevole, c’è la rassegnazione che è l’esito desiderato da ogni autorità nei confronti dei suoi oppressi. Gli oppressi (son troppo marxista a usare questo termine?) non credono più nel miglioramento della propria condizione mediante associazione, e allora che fanno? Nel sentire la fatica di arrivare a fine mese, hanno la rabbia, la frustrazione, e la paura. La paura di perdere quel poco che hanno. E chi ha, ha paura di perdere quello che ha.
Paura di chi? Paura di cosa? Paura dell’Altro, dell’immigrato, simbolo di colui che può togliere quel poco quasi nulla che si ha. ‘Che se non c’è lavoro per me, ce ne sarà forse per loro?’ è la frase tipica, più o meno giustificata / giustificabile. Oggettivamente, c’è fatica, rabbia, povertà e frustrazione, incertezza e precarietà. Quindi, paura. Quindi, egoismo. Sappiamo molto bene, anzitutto a livello psicologico come il dolore, la paura, le situazioni emotive negative ci facciano iperconcentrarci sul nostro Io. L’atteggiamento difensivo, l’atteggiamento di chiusura, l’atteggiamento del ‘mi devo per primo salvare il culo io, chi ha tempo per gli altri, gli altri si fottano’ è il principio di ogni destra. La destra è egoismo, foss’anche motivabile dalla propria precarietà. Non sto certo a predicare a chi ha poco a spogliarsi di quel poco che ha. Il punto è che se la nostra è un’epoca di incertezza e di tornata povertà, non deve stupire come sia un’epoca di destra. Può sembrare paradossale, ma a me sembra perfettamente comprensibile.
La sinistra è allora qualcosa che si sviluppa quando si ha la pancia piena, quando si sta bene, quando ce lo si può permettere? E’ qualcosa di così ‘borghese’, come avrebbero detto negli anni Settanta? Credo proprio di sì. Anzitutto, siamo tutti tanto borghesi quanto proletari. Siamo borghesi nei nostri desideri, che non condanno. Siamo proletari, nella nostra condizione di incertezza e precarietà. Commercianti come operai, paradossalmente. Credo proprio che uno possa comprendere e sostenere valori come la socialdemocrazia, l’aiuto a chi ha di meno, la ridistribuzione del profitto, se prima di tutto si sente al sicuro. Se si sente che non ha problemi ad arrivare a fine mese. Naturalmente, occorre non essere avidi. L’avidità di chi ha e vuole avere sempre di più è la chiara degenerazione dei desideri borghesi succitati. D’altra parte, asserire che essere di sinistra significa non avere desideri borghesi in alcun modo (una bella casa, macchina, vestiti, etc) mi sembra in definitiva ipocrita. Certamente, essere di sinistra significa apertura all’altro, pagare le tasse affinché vengano ridistribuite, prendersi cura di chi ha meno di noi. Chi è di destra si dice: e chi se ne frega! Chi sarebbe di sinistra, ma non se lo può permettere perché quei soldi non li ha neanche per sé vota a destra e si frega da solo. Tagliare le tasse favorisce solo chi può già permettersi ospedali e università private. Qui non si tratta di dire: destra egoismo, sinistra altruismo in modo ingenuo e sentimentale. Si parla di un concreto piano di redistribuzione del reddito che fa appello alla divisione tra liberismo e socialdemocrazia. Naturalmente, le degenerazioni sono da entrambe le parti. Se la proprietà privata può essere tanto inviolabile in quanto proprio sforzo personale quanto un furto, anche l’intervento dello Stato può essere tanto il principio del Welfare State quanto le epurazioni staliniane dei proprietari terrieri, spauracchio tanto amato da Berlusconi.
E ripeto la mia tesi: per essere di sinistra occorre sentirsi al sicuro. Chi non si sente al sicuro non ha spazio per l’Altro, ma gli da un calcio nei denti o nel di dietro, fino a farlo sprofondare, per salvarsi la pellaccia.
Che poi in Italia ci sia una destra come quella di Berlusconi e Bossi nullifica di un colpo tutte queste parole, mortifica la volontà di capire di più, e fa votare contro loro e basta senza tanta filosofia. Peccato. Vorrei potermi permettere di chiedermi se è il caso di votare a destra, ci sono aspetti del liberismo – liberalismo anche condivisibili. Voglio anche questa libertà.