lunedì 22 marzo 2010

The Mallard ● A tutti i Pagliacci della storia


Dal diario di Rorschach,

Ho sentito una barzelletta…

Un uomo va dal dottore. Gli dice che è depresso, che la vita gli sembra dura e crudele. Gli dice che si sente solo, in un mondo minaccioso.

Il dottore dice: “La cura è semplice. Il grande clown, Pagliacci, è in città. Lo vada a vedere, la dovrebbe tirar su“.

L’uomo scoppia in lacrime: “Ma dottore…”, dice, “…Pagliacci sono io”.

Buona questa.
Tutti ridono.
Rullo di tamburi.
Sipario. “



Tratto dal film “Watchmen”

5 commenti:

  1. Ho deciso di postare sul questo blog (e non sul blog “Splendor”) questa citazione di “Watchmen” (ed in seconda battuta, citazione del Clown Pagliacci, dalla nota opera del Leoncavallo), perché il tema centrale è uno dei drammi umani, non il commento ad un film.

    Le “maschere” che ognuno di noi ha e che spesso diventano la stessa "persona" (che, come voi mi insegnate, è una parola che deriva dal greco, "maschera").
    Il vero umano scompare e non esiste più, nel dramma di non poter più essere capito e aiutato.
    Rimane solo la maschera, più “conveniente”, meno vulnerabile, ma della quale poi si rimane anche vittime.

    Ecco riassunto un dramma umano, di questo essere che per paura o perché l’ambiente lo obbliga (sennò non sopravvive) si crea un personaggio che recita, portando in giro la sua pantomima, che lo fa star (temporaneamente) meglio.
    La delizia drammatica della storia è soprattutto incentrata sulla libera interpretazione della barzelletta.
    Per prima cosa non si capisce se il clown è o meno dal dottore, oppure sul palco ad interpretare un’altra commedia (le ultime frasi lasciano questo dubbio). Inoltre, di fatto, alla fine non è per certo chiaro se davvero il clown, ovunque fosse, stesse davvero scherzando. Se fosse dal dottore, allora ci sarebbe andato veramente per essere aiutato, oppure avrebbe fatto la battuta per ridere, per sdrammatizzare col dottore? (In ogni caso gli ridono in faccia!). Se invece fosse sul palco, dentro la propria rappresentazione, il clown avrebbe tentato di denunciare la propria condizione di clown, costretto a recitare e ormai incapace di liberarsi della sua maschera senza essere “distrutto” nell’anima….ma alla fine, in ogni caso, la gente sembra non capire.

    Sicuramente vi è già capitato di notare che spesso, dopo lunghi monologhi comici, l’attore fa come ultima battuta una specie di drammatica denuncia, dicendo una cosa seria di innegabile bellezza drammatica e che, dopo minuti di risate, lascia tutti con sul viso un’espressione di riflessione, come se togliesse il velo a tutta la parodia che finora è stata e dicesse: “Ehi, non ti dimenticare che la realtà è anche lacrime ed io ne faccio parte, soffro come te e questo lo faccio solo per regalarvi attimi spensierati. Non dimenticatevi che sono come voi”. Con questo, in clown, non vuole rompere il divertimento, anzi, vuole quasi avvicinarsi ed abbracciare il pubblico, diventare uno di loro, potersi permettere di essere Vero anche lui.

    Bene, qui il povero Pagliacci, nell’ultima ipotesi interpretativa, avrebbe forse fatto questo…, ma, come sempre, viene interpretato sotto la sua veste (sbagliata) di clown…,

    …forse perché anche tutti gli spettatori sono dei clown.



    The Mallard

    RispondiElimina
  2. Credo anch'io nell'esistenza delle maschere.
    Ci sono persone che diventano "PERSONAGGI" nella loro vita, recitano di continuo seguendo un copione ipotetico ed è difficile scorgerne la vera persona sotto. Lo fanno per paura di vivere, per paura di non essere all'altezza e di scoprirsi incapaci, a volte anche per pigrizia. Però quel clown non è così, in una o nell'altra ipotesi che azardi è comunque un personaggio CONSCIO del suo recital, riesce anche a denunciare la sua amara situazione a tempo voluto anche da sotto la maschera; un clown è forte perchè la sua MASCHERA non nasconde ma esalta ed ESPONE alla vita e agli occhi la parte della pesrona più RIDICOLA, UMILIANTE, INCAPACE, DEBOLE! è il paradosso degli opposti che messi in gioco danno forza ai propri ossimori ( il coraggio, la capacità, la forza ecc...); per questo chi usa una maschera che paventa FORZA, POTENZA, CORAGGIO è facile che nasconda e fomenti la propria DEBOLEZZA,LA PAURA,IL DISAGIO.

    In sostanza credo che si possa dare questo consiglio: Imparate a ridere di voi stessi, imparate a giocare con le vostre paure.
    ANDROJINN

    RispondiElimina
  3. anche Goffman lo diceva spesso
    "La vita come un palcoscenico" il mettersi e il togliersi le maschere in continuazione...

    Ma ciò che siamo ... è perchè lo vogliamo!
    e molte volte anche sotto maschere...sta cmq una parte di noi...una parte che anche se si vuole nascondere è li viva e cosciente !
    Bisogna sdrammatizzare di continuo e giocare con le proprie paure...come ha detto Androjinn ridere dei propri difetti!

    e voilà!

    Su quel palcoscenico mi sono sentita così ridicola buffa...con quei capelli in aria e la voce stridula...
    sono buffa e faccio ridere e io gioco con quel personaggio che sono...ridendo dei miei difetti e lasciando la parte "Buona" solo a chi se lo merita!

    Calate il sipario!
    grazie
    LA VALE

    RispondiElimina
  4. wow. grande spunto di riflessione. credo molto nella tragicità del clown, nell'istrionismo, e in tutte queste metamorfosi del soffrire. il cinismo, il sarcasmo lo sono parimenti. tutto ciò che è profondo è insostenibile, e pertanto ama la maschera. maschera come occhiali da sole perche la luce del solo non si puo vedere per piu di pochi secondi. la verita difficilmente puo essere sopportata a lungo, e quella su se stessi a maggior ragione. e il pagliaccio lo sa. trasfigura il pianto in riso, ma pianto resta. poi sopraggiunge la consapevolezza che anche la tristezza trova il tempo che trova. la fede nel dolore, propria di molte anime intense e appassionate nel romanticismo adolescenziale e post diventa consapevolezza, ovvero rassegnazione. ci si ripara in facili conclusioni che rendono tutto digeribile che sono anche peggio. sono altre maschere, per addomesticare la realta- per renderla vivibile. altre menzogne che ci separano da noi stessi, dal fondo ribollente e scomodo della vita. le conclusioni sono consolazioni, e gli atteggiamenti sono rifugi. ma ogni rifugio si sa, è destinato a crollare. una maschera è un rifugio, e se le bugie hanno le gambe corte, i rifugi hanno le fondamente d'argilla. certamente, uno puo fare come un paguro, passare di conchiglia in conchiglia, di rifugio in rifugio. certamente la debolezza non ha limiti, e il suo corollario immediato è il torcere lo sguardo via dal punto dolente invece che affrontarlo. rimandare, oppure rinominare. non nego che la filosofia a volte sia anche questo.

    coccia.

    RispondiElimina
  5. Hai fatto un'errore curioso, Coccia. Hai scritto "solo" invece che "sole"...penso.
    "...come occhiali da sole perchè la luce del solo non si puo vedere per più di pochi secondi..." ma sai che è stupenda?!!

    ANDROJINN

    RispondiElimina