martedì 23 marzo 2010

Coccia – Quelli che si aspettano (un po’ tutti noi, in vero)

è lecito aspettarci qualcosa da qualcuno? Certamente ci è connaturato, ma non per questo è lecito. È sottile il confine tra l’avere il diritto di e il pretendere che. Una prima cosa che mi viene in mente è: c’è una concezione ‘negativa’ e una ‘positiva’ in ogni cosa. La concezione ‘negativa’ afferma: tu non puoi fare questo. Quella positiva afferma: tu devi fare questo. Un classico esempio è la regola aurea che stacca il cristianesimo dall’impianto ebraico originario passando dal ‘non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te’ (forma ‘negativa’) al ‘fai agli altri ciò che vuoi sia fatto a te’ (forma ‘positiva’). Il principio del non, che è di fatto un principio di conservazione e non generoso, si limita a mantenere un ordine preesistente (non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza), ma non per questo rende il mondo migliore. Lo preserva nello stato in cui è, senza promuovere nulla. Viceversa, il principio positivo, è tale nella misura in cui porta con sé un positum, pone qualcosa. E porta qualcosa che rende la vita migliore. l’imperativo negativo del non rubare può però capovolgersi nell’imperativo del sii generoso?

Mi torna in mente come mentre fare il male è qualcosa da cui in linea di principio tutti sono chiamati ad astenersi, fare il bene è supererogatorio. In parole più semplici, non è male non farlo. Rubare è male, non dare soldi a chi è in difficoltà non è male, ma è bene farlo. Ci sono cose che è male fare, ma non è male non fare. (questo ovviamente sempre in relazione a un sistema morale più o meno condiviso).

La domanda da cui sono partito allora ritorna: posso chiedere a qualcuno di comportarsi con me in un certo modo? La prima cosa che mi viene in mente è che posso richiedere solo un esercizio ‘negativo’ del comportamento dell’altro. Ma il bene non glielo posso chiedere. Il bene, la generosità, la cura per l’altro, tutte le cose belle sono gratuite, e, in quanto tale, non domandabili. Se arrivano, bene. Se non arrivano, non male.

Con che diritto possiamo definirci delusi da qualcuno? Certamente siamo fatti in modo tale da produrci delle aspettative che cozzano contro i comportamenti dell’altro. L’aspettativa, l’immagine con cui abbiamo plasmato l’altro, subisce un brusco colpo. Dobbiamo ridefinirla, e in peggio. Qui sta la delusione. Ma in che misura è lecito formarci questa immagine? L’altro non si sentirà così costantemente sotto esame, come se il rapporto diventasse un compito in classe con errori da matita rossa, matita blu e note di merito? Non diventerà un guadagnare e perdere punti – meccanismo psicologico che in vero tutti applichiamo?

Ancora: nel valutare la ‘delusione’ che l’altro ci dà, l’aspettativa tradita spesso non teniamo conto dell’alterità dell’altro. Del fatto che ogni persona ha metri di giudizio solo suoi, scelte solo sue, orientamenti e visioni del mondo solo sue. Dichiararsi offesi non è forse pretendere di ridurre l’altro al medesimo che noi siamo? ‘io non l’avrei mai fatto’, dice l’offeso. ‘ma tu sei tu e io sono io’ risponde l’offendente. Suona questo egoistico? Eppure ogni azione si iscrive a partire dal punto di vista di chi la compie. Dove riceve la sua validità? Il criterio che muove il singolo entra però su un terreno di intersoggettività.

Certamente aveva ragione Nietzsche quando riconosceva che gran parte dei nostri comportamenti sono reattivi e non attivi, sarebbe a dire sono reazioni: ripicche, vendette, cose dette e fatte in risposta e non spontaneamente. Il meccanismo non è meno servile di quello del porgere l’altra guancia. In entrambi manca il principio dell’azione nel soggetto; in entrambi i casi l’azione del soggetto si tara a partire dall’azione dell’altro. Da cui, il risentimento, l’offesa e quant’altro. Se il Buddha diceva che siamo noi che scegliamo il nostro soffrire, vale anche qui. Siamo noi che scegliamo di disporci in modo tale di essere offesi, di sentirci parte lesa. E magari ci piace anche sentirci tali.

Non aspettarsi niente da nessuno. Una anarchia individualistica, ma con rispetto?

È questo un imperativo praticabile? E prima ancora, giusto? Il presupposto è che la vita sia un fatto individuale, vissuta nel solipsismo di ogni singolo Io? In che misura ogni ‘attore morale’ è responsabile per l’altro?

21 commenti:

  1. Cavolo Coccia non sai quanto mi ha fatto piacere leggere ciò che hai scritto in questo momento!

    Un momento assai difficile...
    un momento in cui mi sento costretta da chi ha più potere su di me...a scendere quasi a compromessi...
    quasi come se una mia scelta poi possa essere giudicata e interpretata male...
    del tipo: "Tu fai questo....??"
    Bene se tu fai così allora guarda io farò....""
    Cavolo non mi sembra per nulla giusto che in questa vita bisogna sempre faticare e faticare....bisogna sempre "fare" qualcosa anche se non t va molto perchè se no poi l'altro ci rimane male!!

    Sono davvero stanca e satura di questo!

    Il mio docente vuole che... e io devo quasi compiere quell'azione perchè sa che se poi non faccio quella determinata cosa... mi sanzionerà in qualche modo prima o poi me la farà pagare..
    ad ogni azione una reazione!

    Ma perchè non si può essere anarchici nell'anima nello spirito??
    Perchè non si può spiccare il volo e non avere sempre paura di quello che si dice o si fa!???
    perchè?

    LA VALE

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  2. Oh si! Ci penso sempre.
    Esistono dei sentimenti viscerali, che vanno oltre ad ogni ragionamento. L'avevo scritto una volta riguardo ai sensi di colpa. Il pretendere qualcosa da qualcuno è così, è un grido che proviene dallo stomaco ma che prima di uscire dalla bocca viene ben filtrato, a volte. E la rabbia, i momenti di debolezza, creano l'atmosfera giusta. E' così facile caderci!
    Penso che sia naturale e giusto volere qualcosa dall'altro. Che male c'è? Se l'altro è libero di valutare la tua richiesta, l'importante è non arrivare a prenderselo con la forza.
    Mati

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  3. Molte volte riguardo alle azioni di noi piccole persone bipedi mi rispondo "... non è lecito però e umano..."
    Di certo, come allude Mati, è la nostra conoscenza di questa naturale richiesta che ci dovrebbe portare a "non tradire le aspettative".
    di consequenza (tralasciando un pò di passaggi razionali :P ) secondo me è naturale rimanere delusi ma illecito sobbarcare gli altri del tuo dolore.
    Le tue domande non hanno risposta facile perchè variano secondo me dal livello di coscienza e conoscenza di ognuno di noi; in primis per me se tu "sai" hai conoscenza degli effetti delle tue azioni e quindi responsabilità, attraverso questo puoi permetterti di essere "solo" perchè sai chi sei e domini il tuo ESSERE ; se tu non sai invece ti rimane l'essere "istintivo ed emotivo", ne buono ne cattivo, vincolato alle leggi del branco quindi vittima o carnefice a seconda dell'umore della massa.
    In conclusione (spero di strapparti un sorriso) le persone non sono in maggioranza solitarie quindi non sono padrone di se stesse. Non credo sia un imperativo praticabile la forma positiva del "DONO" ma è NATURALE e INDISPENSABILE che tra i tanti qualcuno ne sia portatore e distributore collocato come euqilibratore di un sistema instabile chiamato società.
    ANDROJINN

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  4. Aspettarsi qualcosa da qualcuno é follemente umano, le aspettative non dipendono da promesse che qualcuno ci ha fatto e che è tenuto a rispettare ma da nostre interpretazioni dell'altro. Spesso errate. E dal nostro errore di "analisi" dell'altro, dal nostro voler imporre categorie di pensiero che sono le nostre all'altro derivano molte delle delusioni della nostra vita.
    Aspettarsi qualcosa è lecito e "giusto" a mio parere, perchè in fondo più un rapporto è profondo più capita di aspettarsi qualcosa dall'altro e l'aspettativa mostra un certo "affidarsi" all'altro non necessariamente negativo, un attendersi qualcosa che dipende dalla fiducia riposta nell'altro TUTTAVIA se le aspettative vengono disattese non dobbiamo avvelenarci la vita o incolpare l'altro (inteso ovviamente di genere neutro) perchè l'altro e noi per lui, non segue schemi precostituiti, regole di un gioco che abbiamo istituito noi.
    Per essere felici credo che le attese servano ma serva anche saper smettere di aspettare.
    In conclusione è lecito aspettarsi qualcosa da qualcuno? Non credo sia lecito ma è naturale...come quando si prevede il moto di un oggetto, quell'oggetto continuerà a muoversi dello stesso moto e quindi giungerà in un dato punto in un dato istante A MENO CHE...nelle azioni umane ci sono talmente tante variabili che possiamo cercare di analizzare il comportamento degli esseri umani e quindi pensare che si comporteranno (o dovranno comportarsi) in un certo modo...poi arriva una folata di vento, sposta noi piccoli corpuscoli e tutto cambia.

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  5. Donny: Schopenhauer dice: "la realtà è quella che noi percepiamo e focaliziamo nella nostra mente, nel nostro interiore" e ancora Gurdjieff sostiene che appunto la nostra percezione della realtà sia differente dalla realtà oggettiva. Dopo varie esperienze, avendo potuto riscontrare la veridicità di queste affermazioni, credo che "l'aspettativa" sia conseguenza di questo, noi vogliamo percepire quella persona in quel dato modo, e
    per tanto ci aspettiamo determinate cose dalla
    figura creataci nel nostro interiore ma questo è differente dalla realtà e quando, naturalmente, la realtà manifesta la sua essenza con gli eventi, le situazioni ecc.. al principio tendiamo al rifiuto e poi alla delusione.
    Ma, a parer mio, credo che l'errore non sia di per sè l'aspettativa, ma piuttosto l'incapacità congenita di non saper scindere la realtà dal nostro interiore.
    Per tanto sarebbe forse meglio che uno formasse la propria interiorità e dopo si rapportasse con la realtà mantenendo la consapevolezza che questa non siamo noi.
    In conclusione, limitarci al nostro io, dedicarci a noi, e solo dopo, in esterno, affrontare il mondo; così prenderemmo e apprezzeremmo le persone per quello che sono, saremmo lieti per quello che ci danno e non delusi per quello che non ci hanno dato ma che volevamo; Invece tutti fondono se stessi con la realtà senza stabilire una divisione, così percezione e reale si fondono, non si distingue più un emozione esagerata da una lecita.. esempio: uno si altera, il suo alterarsi è eccessivo, se costui sa discernere realtà da interiore si accorgerà dell'eccesso, se non lo sa fare muterà la realtà a suo piacere per renderla giustificante della sua reazione..
    Per cui, scindere il dentro da il fuori, risolve le delusioni dalle aspettative e la maggior parte dei problemi causate dai nostri errori di interpretazione. Questi errori sono naturali nell'essere umano inteso come animale, tuttavia la ragione evolve lo stesso animale, per cui non è, sempre a parer mio, Alienazione..

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  6. Amelie hai ragione...
    è ovvio che naturalmente ci aspettiamo qualcosa...
    lo so ma alla fine investi in una persona umanamente e per quanto possiamo essere razionali..se una persona ci deluse è ovvio che un pò ci si rimane male!
    e se tu riesci a non avvelenarti l'anima Buon per te!
    ma è davvero difficile perchè ad ogni azione corrisponde una reazione... però è anche vero che tutto si sposta impercettibile sotto ai nostri occhi..e tante volte ci creiamo pensieri di speranza verso l'altro perchè così c viene fatto credere..e ad un tratto tutte quelle aspettative volano via dai nostri pensieri..
    forse dovremmo imparare a non sperare a non porci aspettative da nessuno per far si che esse non siano deluse..
    anche se è sempre difficile ragionare così !però c si può tentare..
    la cosa più amara da digerire per me..è quando inconsapevolmente deludo delle "aspettative " che altre persone si erano create immaginando chissà che cosa...

    LA VALE

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  7. Chi è l' "Anonimo" che ha fatto il commento citando Schopenhauer e Gurdjieff??

    Firmarsi pleeeeaaaaseee!!

    The Mallard

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  8. Sono io "Anonimo", ho scritto.. all'inizio.. Donny.. Daniele mi ha spiegato come scrivere con il nome, ma siccome non ricordo posto anonimo.. cmq, ricordero di firmare.. :)..

    Donny..

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  9. Bene Donny,
    io è dal 2007 che cerco di capire come andare oltre la filosofia e non costruire castelli sui quali poi campare a dibattere (il mio capo dice "divieto di Pipponi")...certo, come tramite, come veicolo, questa "grande madre" della philos funziona ancora, però...

    Per questo, anch'io sono approdato a molti "altri", tra cui Gurdjieff e per questo sono rimasto colpito che anche un barbiere (nuovo penso: ci conosciamo?) lo conosca.
    Io per ora ho letto solo "Incontri con uomini straordinari", ma, come penso sai, ci sono quasi solo racconti (dice) della sua vita.

    Non c'è alcuna indicazione sui metodi da seguire o dibattiti psico-filosofici per approdare ad un benessere.

    Mi sai indicare dei testi in cui vengono sviluppati i metodi che ha usato nei suoi centri? Mi pare si sia occupato anche di meditazione.

    Ho letto che anche Battiato li usa (vabeh, non importa a me...però...era carino dirlo và :)

    Potrei leggere la sua bibliografia, certo, ma se hai già qualche dritta, potrei capire meglio da cosa partire.

    Thanks!
    Ciao

    The Mallard

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  10. The Mallard, io ho trovato molti suggerimenti utili in "Frammenti di un insegnamento", ora non ricordo l'autore, ma non è lui, è un giornalista inglese mi pare che lo ha seguito e ha potuto essere tra gli "allievi" di Gurdjieff.. Il libro intorno alla metà presenta delle teorie folli, parla di astronomia ecc, ma interpretate in termini metaforici sono assai interessanti.. cmq non so se ci conosciamo, io è la prima volta che scrivo qui.. cmq, per i pipponi mentali, io dopo tutte le varie masturbazioni tenendo a mente le conclusioni raggiunte ho iniziato a fare ragionamenti analizzando mondo e persone (naturalmente nei limiti delle mie conoscenze e della mia cultura ancora limitata); e ho iniziato a scrivere delle regole, una sorta di codice con norme non comportamentali però, bensi filosofiche, ovvero di ragionamento, come dire.. dei parametri nei quali ragionare e riflettere in ogni circostanza che la vita ci presenta, proprio per convertire la teoria alla pratica, concordo sul fatto che la filosofia è facile in discussione ma complessa nel reale e così ho trovato questo modo, ancora in fase di sperimentazione, per far si che ci sia realmente un utilità in vita, oltre il già presente piacere intellettuale e allenamento concettuale derivante dalla masturbazione mentale.. ;).. ho voluto renderti partecipe un po per il confronto, un po perche se trovi qualche spunto sarei lieto di essere stato utile... non dimenticare di informarmi sulle conclusioni e/o ragionamenti che compi.. :) .. Grazie a te, Ciao...


    Donny.

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  11. Mi sembra ottimo.
    Anche a me in momenti di capacità di sintesi si generano delle idee che riassumono in pochi concetti le tesi dedotte da fiumi di informazioni frammentarie fruite da più fonti ed ESPERIENZE...
    ...però per pigrizia, poche volte le scrivo.
    Dovrò fare come con la musica: scriverla subito sennò "arrivederci".

    Avremo modo di approfondire, magari anche di persona.

    Bye!

    The Mallard

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  12. Non credi cara Vale che spesso siamo noi a CREDER MALE e equivocare le azioni degli altri?

    ...un sacco di confusione, un sacco di equivoci...

    ANDROJINN

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  13. SI può darsi che a volte siamo NOI che equivochiamo....... la confusione e gli equivoci...a volte NON sempre...

    LA VALE

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  14. A volte gli altri lasciano intendere che... ma non bisognerebbe aspettarsi nulla cmq.. anche se il lasciar intendere sia vero e poi si realizzi, non aspettandolo si sarebbe piu felici, altrimenti non delusi.

    Donny.

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  15. Ho ammirato il riferimento di Nietzsche(o Nietzche?) sul reattivimso che oggi determina le nostre scelte e azioni senza alcuna spontaneità e comando sul nostri indirizzamento sociale e personale...

    (ed anche l'intervento di di androjinn: se tu "sai" hai conoscenza degli effetti delle tue azioni e quindi responsabilità, attraverso questo puoi permetterti di essere "solo" perchè sai chi sei e domini il tuo ESSERE.. )

    e penso non servano molti altri commenti

    ross

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  16. La difficoltà nell'essere soli sta nel fatto che quando uno è solo deve fare i conti con se stesso, per questo molte persone soffrono per via della solitudine.. credo di essere tra i pochi che ho conosciuto sino ad ora che non soffre.. in pace con me stesso.. alcuni addirittura per via del dolore che gli causa il parlare con se stessi si cercano motivi esterni per soffrire anche quando non ne hanno.. scusate sono un pò fuoritema..


    Donny.

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  17. Vorrei precisare che io credo esistano due diversi modi di essere soli:
    Senza paura di esserlo o con il terrore di esserlo.
    Chi si può permettere di essere solo è colui che non ha paura di esserlo perchè è tranquillo in compagnia anche solo di se stesso.
    Tutti coloro che invece non hanno un buon approccio con il loro es, possiedono lati oscuri, fanno fatica a mettersi in discussione non dovrebbero MAI stare soli.
    Quindi al mio discorso precedente aggiungo di NON ESSERE MAI COSì PRESUNTUOSI DI SAPERE, QUINDI DI CREDERE DI AVERE LA FORZA. LA COSCIENZA DEL SAPERE PREVEDE UN PERCORSO INFINITO DI AUTOCRITICA CHE PASSA ANCHE DAL PORSI RESPONSABILITà SULLA PROPRIA CONOSCENZA.

    ANDROJINN

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  18. "NON ESSERE MAI COSì PRESUNTUOSI DI SAPERE, QUINDI DI CREDERE DI AVERE LA FORZA. LA COSCIENZA DEL SAPERE PREVEDE UN PERCORSO INFINITO DI AUTOCRITICA CHE PASSA ANCHE DAL PORSI RESPONSABILITà SULLA PROPRIA CONOSCENZA.
    "
    vero...cioè io in effetti a volte necessito di stare "sola" ma per concentrarmi su ciò che studio o faccio...e allora mi isolo per studiare in modo quasi anestetico la società...
    ma poi tutti abbiamo bisogno di qualcuno qualcosa...che sia un amore un ideale o una credenza...
    abbiamo la necessità di addormentarci fra le braccia di un abbraccio caldo che infonde quella sicurezza che il restare "soli"con se stessi non appagherà mai..
    sembrano un pò banali le mie parole..
    ma l'ho sperimentato che "stare soli" non è mai semplice...ma pr per nulla..

    la vale

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  19. Concordo con ANDROJINN.. il discorso come già detto è che stare soli non è facile proprio perche bisogna fare i conti con se stessi, e perche in queste circostanze si accusa il famigerato "vuoto interiore" che tutti possiedono in modo innato. Tutti però cercano di colmare questo vuoto attingendo dall'esterno: facendo cose, studiando, amoreggiando, con gli amici, con gli svaghi, con il lavoro. Chi lavora poi nel tempo libero si tormenta di trovare un hobby pur di non restare "solo" (in questo caso per "solo" si intende anche il semplice conversare con se stessi). Alla fine di tutto ciò però si ci rende facilmente conto, dopo una breve riflessione, che attingere dall'esterno non colmerà mai quel vuoto; tutt'altro, nascerà una dipendenza dagli svaghi che dovranno essere sempre maggiori per colmare il nostro "vuoto".
    Questo si dimostra proprio perchè ogni svago finisce, ogni ricchezza porta sempre al desiderio di maggior ricchezza, perfino quando uno trova l'Amore che cercava finirà col dover notare i difetti di quel rapporto o addirittura, quasi inconsciamente, a creare problemi illusori nel rapporto proprio per creare il "Moto". Questo "Moto" che rappresenta tutte le attivita: fisiche, intellettive, spirituali e sentimentali, è in fine il mezzo più comunemente usato per colmare il vuoto, che deriva dall'incapacità di vivere con se stessi..
    Io trovo che anche una solitudine "forzata" sia un buon terreno di allenamento per imparare a conoscere se stessi, fare i conti col proprio interiore, e inoltre d'aiuto per sviluppare l'intelletto (per intelletto non si intende la cultura o conoscenza che invece si sviluppa con conversazione e studio).. continua....

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  20. Il post sopra è mio, ho superato i caratteri e ora non riesco a postare la 2° parte.. la copio in giornata e l'aggiungo..

    Donny.

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  21. aiuto non vedo dove sia il problema...
    è una questione di convivenza, come è possibile non stare bene da soli?
    insomma, dobbiamo stare con noi stessi 24 ore al giorno tutta la vita.
    me stessa non è un granchè, lo ammetto, però mi sta abbastanza simpatica.
    mati

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